giovedì 28 febbraio 2013

Divagazione quasi seria circa il fanfarone


Il fanfarone, altrimenti detto spaccone o smargiasso, è, in Italia, razza comunissima tanto nelle città quanto nelle contrade, sicché a nessuno è concesso di poter seriamente affermare di non averne mai incontrati.

A voler tentare un azzardatissimo “abbozzo dell’essenza”, potremmo dire che il nostro soggetto è un tale cui mai riuscì di elaborare il lutto di essersi, un giorno, scoperto “creatura”, cioè ente “a scadenza”, vale a dire “comune mortale”; e che, spaventato “a morte” dalla faccenda, “fanfaroneggia per dimenticare”. A buttarla giù semplice e chiara, è come “uno che fischi nel buio per darsi coraggio”. L’apparenza spavalda lenisce l’impervia sostanza.

Ovviamente, aldilà di una certa morfologia morale di fondo, il fanfarone italico non è sempre e dappertutto lo stesso; e ne esistono varianti, sottospecie e sottogruppi, soprattutto in rapporto a: 1) livello di energia psico-nervosa; 2) gusto per l’avventura; 3) grado di pericolosità sociale.

Solitamente innocuo (ancorché assai molesto) sinché attivo nel limitato raggio del suo quartiere (bar, market, ufficio postale, edicola, sportello bancario, farmacia), sul posto di lavoro (ufficio, officina, ospedale, scuola, mercato, tribunale), o in vacanza (spiaggia, ristorante, gelateria, terrazza a mare, discoteca, piazzetta, panchina, pizzeria), il fanfarone diviene gravemente nocivo quando beffardi e fortunosi accidenti della storia ne sollevano uno di speciale energia a ruoli pubblici (leader politico, predicatore religioso, alfiere di palingenesi, tribuno della plebe, vindice degli afflitti, liberatore degli oppressi, svincolatore dei laboriosi, difensore dei depressi, etct., etct.).
Capita allora il peggio che ci si possa immaginare, e cioè che il Cavalier Palloni felicemente incroci le ansie sub-consce della massa degli uomini medi (i più vulnerabili al bacillus fanfaronitis) che, sedotti da ambizione attivistica, sicurezza sbruffonesca, spietata volontà di grandezza, sublime faccia tosta e, buon ultimo, ineguagliabile talento nello spararle grosse, si inebriano dell’avventura, e - non senza intravedere qualche terrena convenienza - investono emotivamente sul vano-borioso, identificandovisi e mandandolo avanti ad osare (salvo disinvoltamente appenderlo per i piedi, una volta caduto in disgrazia).

È in questi casi (cioè quando il micidiale cortocircuito smargiasso-massa/credente si chiude) che possono venire danni seri e per tempi lunghi, andanti dalle annualità ai ventenni, passando per i decenni. Per meglio disegnarne il profilo e dare modo di riconoscerlo ictu oculi tra la folla, aggiungeremo che Monsieur Fanfaronì si picca di saper raccontare meglio di tutti le barzellette, è provetto trovatore di aneddoti, battutista incontenibile, abile storpiatore di nomi, spirito enciclopedico, tuttologo diplomato, nonché - dulcis in fundo - insuperabile inventore di formule di fumosità tale da poter piacere agli arrabbiati di ogni risma.
In genere egli possiede: discreta intelligenza, ottima memoria, cultura media, disinvoltura espressiva, pronto sorriso di bocca, cospicua spudoratezza, fiuto animalesco per l’onda cavalcabile. Risulta inoltre: 1) grosso amatore di donne (sino ad otto di fila); 2) grande tifoso; 3) convinto salutista; 4) nuotatore (sino a tre chilometri continuativi); 5) uomo di buon appetito; 6) fisico di ferro. Tutte cose che lo fanno essere “eterno giovane” e incapace anche solo di immaginare il fatale disfarsi della sua carcassa (che tende talora a fasciare dentro severe uniformi o “doppiopetti” caraceni; e coprire - sempre non disponga di superstite, candida chioma ribelle - con cappelli e “scenose” bandane).

Esaurita la fenomenologia, e passando all’eziologia, ecco venirci incontro l’interrogativo più oscuro, sfuggente, imperscrutabile: e cioè perché mai lo smargiasso tiri, il gradasso prenda, il fanfarone acchiappi, lo sbruffone magnetizzi; e, soprattutto, perché tutto ciò riesca anche con coloro che, a guardar bene, potrebbero pure materialmente rimetterci. Quale, in sostanza, la tenebrosa origine della fanfaronite? Domanda da far tremare vene e polsi al più scafato investigatore di umani garbugli. Ma volendo osare e ancor “tentar l’essenza”, potremmo spingerci sino a dire che la mente del qualunquista sedotto (fanfaronite affectus) non è, poi, così diversa da quella del video pokerista incallito (fauna umana sempre più spesso osservabile nei patri bar e tabacchini), il quale, di fronte alla macchinetta svuota-tasche brillante e musikettante, gode della dissolutezza, sente il brivido ambiguo dell’imprevisto, del colpo di fortuna, della scorciatoia avventurosa, dei “soldi tanti” senza lavoro. E dimentica grigiori, mediocrità, bollette, passar del tempo: piomba nello sballo.

Naturalmente, ridottosi con le pezze al sedere, le scarpe rotte, gli usurai alle calcagna, i denti cariati e le minestre alla Charitas; presi, cioè, sonori e robusti ceffoni in piena faccia, l’intossicato prima o poi rinviene e realizza la fregatura. E qui cade, drammatica e attualissima, la domanda: di quanti ceffoni c’è bisogno, in Italia, per realizzare la fregatura? Tre basteranno?

postScriptum: none

                                                                                                                    Gigi Monello



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